FRA DIPENDENZA E AUTONOMIA

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Come vivere in maniera sana, profonda e felice i nostri affetti?

Spesso si tratta, prima di tutto, di superare il dilemma che affligge alcune persone quando si innamorano: esse amano e vogliono lasciarsi dipendere dal loro amore ma, nello stesso tempo, sono spaventate da quell’amore e vorrebbero rimanere separate da esso, per rivendicare la loro autonomia che sentono minacciata.
Il tema è chiaro: parlo di dipendenza affettiva e, contemporaneamente, del suo opposto, della smania di autonomia.
Le maniere di vivere e pensare alla nostra vita e ai nostri affetti sono molte volte guidate a monte da una logica dualistica, che si sviluppa su opposti binari che scorrono paralleli, senza mai incontrarsi.
Allora, come vivere la coppia, combattuti tra il desiderio di dipendere dall’altro e la paura della perdita della propria autonomia?

Come rappresentarci questo composto affettivo?

Innamorarsi e fare coppia è un viaggio che si spera duri tutta la vita, o a lungo… ma non è solo un viaggio insieme, è anche una avventura, una esperienza che due persone vivono insieme nella ricerca di una vita sempre più felice; e l’avventura segna un percorso, durante il quale si incontrano esperienze diverse, momenti belli e meno belli, e sempre occasioni di crescita, se così si vuole.
L’innamorato che con il partner comincia la sua avventura d’amore pensa spesso ad un’isola (si rappresenta così la sua “sicurezza”), dove è possibile stare piacevolmente, un’ isola alternativa alla sua vita e ai suoi rapporti difficili ( sogna così la sua “ libertà”). Perciò aspira ad approdare all’isola.
Ma questa è una utopia… è l’utopia di una difesa che crea dentro la coppia la condizione ideale della reciproca dipendenza affettiva.
Poggiata su tali fondamenti, la vita di coppia sarà vissuta su un desiderio vuoto, privo del suo oggetto di concretezza, senza corpo, senza compromettersi; in realtà, quell’unico mondo non è che un mondo ideale, e un ideale di relazione dannoso, non valido, sempre forzato da idee di perfezione.

Come succede questo?

Se viviamo insieme al nostro partner come dentro a un guscio d’uovo, ci identifichiamo in quel nostro amore idealizzato, e mettiamo sullo sfondo della nostra vita le altre persone, familiari e amici, vissute come presenze oramai poco importanti.
A volte è solo uno dei partner della coppia che sviluppa la sua dipendenza nei confronti dell’altro, a volte sono entrambi i partner che dipendono reciprocamente l’uno dall’altro, in maniera simbiotica.
Questi ultimi casi molto frequenti in terapia; tra l’uno e l’altro partner si crea spesso una sorta di accoppiamento strutturale che funge da “naturale attrazione”: una attrazione “fatale”, potremmo meglio dire, poichè, quando la coppia comincia ad avvertire il proprio malessere, succede che, pur soffrendo entrambi, spesso non sapranno più vivere l’uno senza l’altro.
La coppia si avvia così verso il suo stallo: la dipendenza vissuta all’interno della coppia si mantiene, pur nella sofferenza e nella frustrazione, poichè ognuno proietta sul proprio partner ogni suo bisogno, e si aspetta da lui la soluzione dei suoi problemi, quegli stessi problemi che in prima persona egli non ha mai voluto affrontare.
Nello stallo di coppia separarsi diventa impossibile perché, in assenza di un potere personale che non abbiamo mai allenato, abbiamo fatto divenire l’altro/a esclusiva istanza depositaria di ogni nostra necessità… certamente, senza di lui/lei, non potremmo più vivere!
Presto o tardi, scopriremo che i problemi che avevamo tenuti fuori dal nostro mondo affettivo, così chiuso e sigillato, in effetti li abbiamo portati con noi nella nostra coppia, e che adesso quei problemi stanno anche fra noi e il nostro partner: allora quel sogno di nirvana si sarà trasformato in delusione e quella ricerca di pace in un vero inferno.
Colpevolizzeremo allora il nostro compagno e lo accuseremo di non essere quello che lui diceva di essere… ma, in verità, lui non ce lo aveva mai detto, e noi non avremmo dovuto dare per scontate cose che erano soltanto nella nostra testa!

Quando il desiderio diventa sofferenza?

Il desiderio si ammala proprio quando il rapporto diventa simbiotico: se viviamo dentro l’utopia di un rapporto come isola, fuori dal mondo dei problemi, se abbiamo desiderato vivere su quell’isola e abbiamo creduto di poter lasciare alle spalle tutto il resto per vivere insieme da soli con il nostro partner, impoverendo le relazioni con gli altri e bypassando le difficoltà che il confronto con questi comporta, il nostro desiderio si ammala.
L’impossibile desiderio di fuga e la propria deresponsabilizzazione rispetto agli altri e al mondo, rendono possibile l’insana reciproca dipendenza che, alla fine, diventerà l’esperienza della reciproca solitudine: ciascuno vivrà infatti da solo, nella più sconfortante incomunicabilità.
Ciò accade quando nella coppia abbiamo annullato lo spazio della nostra diversità, mortificando lo slancio del nostro reciproco tendere l’uno verso l’altro: escludendo gli altri, abbiamo voluto che nella nostra coppia fossimo sovrapponibili simbioticamente, in virtù della dipendenza affettiva che abbiamo creato, tanto sovrapponibili da annullare lo spazio relazionale del dialogo e dello scambio fra di noi.
Ma, in un rapporto del genere, senza scambio e senza la circolarità che vive delle differenze fra “te e me”, ogni desiderio muore.
Soltanto la scelta matura e consapevole può guidarci nella direzione del senso che vogliamo per la nostra vita, mentre ogni fuga, in realtà, ci fa indietreggiare sui luoghi irrisolti della nostra incomprensione e delle nostre frustrazioni.
In ogni caso, evadere dal mondo non è possibile, se non negando se stessi e/o il proprio mondo, che è sempre fatto dagli altri individui; così pure, deI percorsi che la “coppia dipendente” può vivere possono anche essere molto diversi… se le persone non sanno sviluppare un posizionamento più maturo, può accadere che essi strutturino veri e propri sintomi entrando, ad esempio, nel vicolo cieco della ancor più invasiva dipendenza ossessiva, che esige il possesso e il controllo del proprio partner, attraverso la strutturazione di idee e comportamenti rigidi e disadattivi.
Perdurando la situazione, quella dipendenza potrebbe sviluppare una vera patologia: la stessa gelosia, da ossessiva, può divenire anche delirante; può, infine, sopraggiungere una compulsività che, postandosi su altri oggetti, potrà concentrarsi e investire ampi spazi del proprio comportamento, trovando altre modalità, surrogate, di relazioni dipendenti: alcoolismo e dipendenza da sostanze, gioco d’azzardo, anoressia-bulimia…
Dietro ogni dipendenza divenuta patologica c’è sempre, a monte, un delirio di onnipotenza, cioè il delirio del poter fare a meno degli altri.ntro la coppia, non dovremmo ignorare quell’altro-da-me che è il nostro partner.
Purtroppo la realtà del mondo, molto spesso filtrata da vizi di interpretazioni, è capace di cambiare rapidamente dal nirvana desiderato, all’inferno percepito… trasferite adesso dentro la coppia, dipendenza e autonomia confliggono pesantemente: per i due innamorati, non essendo comunque riusciti a con-fondersi davvero nell’impossibile simbiosi, ne conseguirà una spinta centrifuga, che farà loro desiderare la fine del rapporto.

I percorsi: dalla dipendenza affettiva alle patologie da dipendenza

 

Bisogna curare le utopie

Quasi tutte le nevrosi sono originate da un via vai di utopie su cui la persona nel tempo si è arroccata: senza strade, senza gli altri, senza mondo.
Ogni nevrosi nasce infatti su un percorso costruito per mezzo e per conto di utopie, così come, nel nostro caso, dal desiderio di una relazione totalizzante che ci realizzi completamente: autofondata, chiusa e difensiva.
Perché, in definitiva, isolandosi da se stessi, dal mondo e dagli altri, non ci confrontiamo più con la frustrazione, non sappiamo intervenire o prendere una posizione, ci rifugiamo in una difesa che, nel depotenziare le connessioni relazionali tra noi e il nostro mondo, diventa già una utopia.
Sull’isola si cerca la serenità, ma in realtà si incontra un modo assurdo di vivere le proprie paure… e per di più, facendo di un problema e di una situazione difficile una fantasia, o una utopia, non potremo più trasformarle, comprenderle, farle evolvere e risolverle.
La salute profonda che cerchiamo deve incontrare la concretezza della realtà delle cose, rispondere potenzialmente a tutto, essere capace di stare, di trasfigurare.
Fuori dal mondo non possiamo stare: quando abbiamo voglia di evadere, in realtà possiamo soltanto spostarci da un posto all’altro poichè non abbiamo altro spazio, se non dentro questo mondo. Ogni nostro tentativo di fuga è perciò vano in quanto, fuggendo da qualcosa, ci attacchiamo ad altre realtà che sentiamo più desiderabili, restandone poi dipendenti a causa dell’infondatezza del nostro desiderio sproporzionato di autonomia: un desiderio che, a volte, come abbiamo considerato sopra, può anche divenire delirante.

Forma sana di dipendenza

Noi nasciamo già predisposti alla relazione. Questo vuol dire che una sana dipendenza relazionale è la nostra normale e realizzante condizione per il nostro esistere.
Aver bisogno l’uno dell’altro, saper dare e scambiare affetto, attenzione, vicinanza, aiuto, queste sono le condizioni dell’amore sano, profondo: un sentimento di grande integrità dove ognuno pur avendo bisogno dell’altro, non subordina in maniera inderogabile la propria autonomia personale all’iniziativa dell’altro.
E’ bello accrescere, invece, la propria integrità personale imparando sempre meglio a vivere belle e sane relazioni d’amore e, al contempo, mantenendo il desiderio di fare scelte felici e realizzanti per la propria persona.
In terapia, quando questo accade, si attraversa un momento importante e delicato: avendo vissuto la delusione e avendone maturato il disincanto, è possibile che i due partner, a partire da quella esperienza, maturino un rapporto più sano, più maturo e consapevole: impareranno a non avere più bisogno di strumentalizzarsi a vicenda, ad accostarsi all’altro riconoscendolo nella realtà della sua persona, per amarlo e per scambiare con lui il bene più profondo… un equilibrio bello e duraturo che mantiene armoniosamente insieme una sana autonomia come espressione della migliore considerazione di se stessi, e una sana dipendenza come profondo riconoscimento di aver bisogno l’uno dell’altra.

Come la psicoterapia ci aiuta ad uscire dalla dipendenza affettiva?

La terapia, perché sia efficace, deve spingere la persona a saper stare nel mondo, ad allargare gli spazi di condivisione e creare realizzazioni personali rilevanti.
Occorre ridefinire in positivo i concetti di confronto e di scambio: il dare-avere deve essere curato, deve vivere entro un flusso appagante e arricchente… perciò occorre anche saper dare al pensiero una nuova capacità di reimparare, di superare ogni dualismo del pensiero e del nostro vivere quotidiano.
Lo scambio deve poter avvenire felicemente e in maniera fluida, senza che, nell’avarizia e nella avidità di tante nostre difese, l’avere e il dare confliggano tra loro, oscillando nella perpetua e mai risolta competizione fra il più e il meno.
In una coppia che funzioni ciascuno dovrà impegnarsi, mentre cerca la propria realizzazione, a volere e a facilitare anche quella del proprio partner, in un flusso bidirezionale, continuo e reciproco… ma senza trasferire sull’altro quella che ciascuno crede, o vuole, sia la realizzazione del partner a partire dai propri desideri e dalle proprie convinzioni.
E, coincidenza possibile in amore, il desiderio dell’altro, contemporaneamente e reciprocamente, potrà così divenire anche il proprio.
Ciò non è sempre cosa facile, poiché la buona riuscita di questa “formula” implica il superamento del nostro egoismo, non nella sua natura moralistica, distinguendo cioè tra bene e male per contrapporli indefinitamente… ma come un diverso modo di stare con gli altri, che giovi a se stessi e a chi vogliamo bene: la nostra ricchezza si alimenta sempre dell’apporto e dei contributi di tutti, e del desiderio di voler essere sempre capaci di superare, almeno un po’, i limiti del proprio individualismo, per riconoscersi individui tutti separati, e tutti reciprocamente relati.
E’ per questo che, nel percorso della terapia psicologica io chiedo sempre l’ impegno dei miei pazienti a voler cambiare e una seria disponibilità ad imparare a farlo.
Infine, voglio suggerirvi una bella suggestione: possiamo acquisire una corretta rappresentazione mentale della coppia bella e sana che vogliamo, giovandoci della configurazione di una felice Triade: “Io-e-Tu”, dove tra l’io e il tu c’è sempre la con-giunzione “e”, che sta in mezzo perché divide e, allo stesso tempo, congiunge le due persone. Felici realmente, così come desideriamo che esse siano.