L’ACCOGLIENZA, COME LAVORO

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LA PAROLA CHE DICE…

LA PAROLA CHE DICE E’ SPESSO MUTA

L’essere umano utilizza la parola per cedere alla necessità di trattenere i significati unanimemente condivisi… le parole nascono così, per necessità di uso collettivo, già impostate e così già assimilate, in ogni tempo, in ogni tipo di ogni società… cambiano nel tempo… e sempre, tuttavia, seguono il senso comune, di massa.
Permanendo in un prolungato stato di prossimità semantica, si rafforzano une con le altre, diventano frasi, sistemi di linguaggio, parlato e scritto.
Semiotica e semantica si adattano reciprocamente per divenire sistemi di comprensione: stazionano al loro interno i significati selezionati dai tempi e dai luoghi ed essi, veicolati dalle parole, anche viaggiando molto lontano, lo stesso fra loro possono incontrarsi e comprendersi.
Loro, le parole del nostro esprimerci, per noi esseri umani, viaggiano in maniera pedante e saccente, portando con loro, incorporato, il senso, o i pochi sensi , che vogliono rappresentare .
Purtroppo, questa povertà rappresentativa, per sua natura, è presente in tutti i sistemi di linguaggio e, ahimè, persino nella cultura cinese dove, più che in ogni altra cultura, gli ideogrammi sono aperti a più interpretazioni possibili, per via dei molteplici significati assegnati a ciascuno ideogramma.
A questo livello di analisi, infatti, non è più solo importante la quantità di senso compreso nelle parole … ma tanto più, anche, come il loro senso sia sempre, comunque e necessariamente, già dato e già codificato collettivamente nei diversi contesti e situazioni sociali… ci sarà qualche pezzo di realtà, o qualche modo della realtà che, siccome non codificato entro suoni e parole, rimane fuori dalla nostra rappresentazione e, perciò anche dalla nostra comprensione?
Le nostre parole sono infatti sempre necessariamente insufficienti, anche quando usiamo termini arzigogolati, anche quando poniamo sulla nostra tavolozza dei colori, tante belle parole colorate, ricercate e brillanti… spesso, esse galleggiano leggere in superficie, come tappi di sughero sul pelo dell’acqua, non solo perché lasciano pochi spazi liberi, che non siano stati saturati dai significati già dati e largamente convenuti, ma anche perché ne collocano il significato sulla superficie dell’ ovvio per tutti, senza saperlo penetrare nella sua profondità… diversamente che nel tendere di chi abbia a cuore l’impegno della ricerca e della scoperta, oltre l’ovvio.
La nostra mente, complice e ignara di questo autoinganno , fa altrettanto… si è attrezzata, nel tempo, ad assecondare la necessità di concordare sull’interpretazione data della realtà, adottando per la propria rappresentazione il fascino di una suggestione già data e guidata… e così, anche, proietta e si identifica con tutto quanto trova predisposto dentro parole, che chiudono e avvolgono dentro “codici” ogni piccola parte di realtà a noi conoscibile.
Così continuamente si fonda il nostro pensiero. Ma, attenzione… il nostro pensiero si fonda, ma pure si rifonda… continuamente!
Che fare? Poco, pochissimo!!! Ma, sapere questo ci consente di porre più attenzione e più pensiero, all’uso che facciamo delle parole, ci rende meglio consapevoli che il nostro dire è tanto più efficace quanto più impariamo a conoscerlo e a fare del nostro meglio per utilizzarlo bene nelle nostre situazioni di vita…
Possiamo allora accorgerci anche come, a volte, il filo sottile che lega le parole debba, per poco, rimanere sospeso.
La parola che dice, a volte, è una parola muta.
Dobbiamo perciò interromperla? A volte sì… a volte la parola, se non interrotta, è da ostacolo alla costruzione di un senso più ampio, più complesso; non così, quando i rami del sapere si diramino per più direzioni e, dopo avere viaggiato per spazi nuovi di senso, di nuovo si intrecciano, formando una trama complessa, emotivamente sostenuta, consapevolezza nostra.
Lo iato è necessario alla nostra crescita… continuando per poco a camminare sul terreno che cede al nostro passo, il senso collassa e ci sollecita a tentare l’ignoto in un piccolo salto, per vedere cosa accadrà… o cosa hai fatto accadere nel mentre quel piccolo salto ti spingeva un po’ più in là… nel silenzio della sospensione di ciò che già sai…
La parola deve poter cedere al sorriso per lasciarlo dischiudere come un accadere necessario e improvviso, o alla esitazione di sé, nell’attimo in cui il parlato diverrebbe rumore che copre e nasconde ogni significato, in un tempo precisissimo…
Sì, la parola è anche la parola muta che attraversa gli strati di una comprensione più profonda, è la nostra consapevolezza , in quell’attimo, del bello dell’emozione che il mio contatto con te ha creato… è anche la sensibilità del non detto, volutamente taciuto per dar spazio ad una visione che ci avvicini al luogo del silenzio, ove essa nasce.
L’arte lo sa… perciò si fa spesso muta, sospensione di senso mentre allarga i confini dei limiti del detto…
Musica, arti visive… ed anche scrittura… quando non nascono in ragione di rumorose esigenze commerciali, vivono l’inquietudine della forma-finita con cui venire al mondo, ed inseguono le più duttili forme che comprendano un senso che muta e virtualmente mai veramente de-finito… il racconto a volte sfuma, diventa poesia, fascino e suggestione nel tendere verso le direzioni di senso che cerca…
E’ così per ogni fascinazione nell’arte: trasfigurazione della realtà, per farne realtà più vera, estremo, commovente tentativo di rimuovere , intanto, il senso-dato, per crearne altro ancora… così quando l’Artista davanti al suo Mosè di marmo, d’impulso agisce l’estrema sfida tra i limiti del nostro possibile… un interiore, drammatico, dialogo tra accettazione e irreprimibile bisogno di oltrepassamento…
Il tempo, il silenzio, l’immobilità perfetta della forma compiuta… profanati dal gesto disperato e ribelle dell’uomo-artista: ”Perché non parli?”
E in amore? Sublime arte del vivere in Eros… a volte sappiamo avvantaggiarci del linguaggio della nostra sensibilità quando esso prediliga il silenzio, mentre lo sguardo sulla scena si fa ampio e, delicato, si ammanta del nostro fare accadere l’amore tra noi e la persona che amiamo
Tra le abilità da acquisire in Amore, una fra le più alte è proprio la nostra sensibilità, che gode del silenzio di quel che stiamo vivendo in quel nostro presente, entro cui facciamo accadere, tra me e l’altra/o, l’amore e il suo senso…
Vivere , come amare, è l’arte più bella. E la più sana.

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TRISTEZZA, COSA NE FACCIAMO?

 TRISTEZZA: COSA NE FACCIAMO? La tristezza  è una delle emozioni fondamentali della nostra vita, e non dovremmo  negarcela perchè se non ne rifuggiamo,  con espedienti che ci diamo con falsità, superficialità, egoismi…  ci permette di vivere  una esperienza  intima e...

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