LE PATOLOGIE PSICOLOGICHE, LA CURA

ONTOLOGICA DELLE PATOLOGIE  PSICOLOGICHE:    PERCHE’ CI AMMALIAMO?

Senza la relazione con  gli altri  e con il nostro mondo non sarebbe per noi possibile la vita stessa.

Perciò, quando dentro lo spazio di incontri che è la nostra vita, troviamo anche delle relazioni difficili, che ci apportano  frustrazioni,  delusioni,  rifiuti,  o  incognite inaspettate  che ci spiazzano… non dovremmo per questo rinunciare a voler capire, conoscere, interrogare ciò che, in quello spazio, si interpone tra noi e il nostro desiderio di realizzazione.

Capire il mondo è cosa complessa, così come complesso è il nostro mondo fatto di relazioni… ma senza la nostra consapevolezza  circa la maniera in cui scegliamo di   relazionarci  e  senza saper conoscere, di noi, quali difese adottiamo e se davvero , quelle difese che nei momenti più difficili  adottiamo nei confronti degli altri,  ci stanno “funzionando”, non realizzeremo la vita sana e bella  che desideriamo…

In quei casi, non avremo  saputo  riconoscere i nostri desideri più sani e profondi, e percò  non ce ne saremo presi cura per  dirigerli, sostenerli o rinnovarli nella maniera più adeguata; e così,  quei desideri, divenuti frustrati, avidi, avari o menzogneri, spesso si ammalano.

                                       

    

PERCHE’ CONOSCERE LE NOSTRE DIFESE PSICHICHE E’ COSI’  IMPORTANTE?

Di fronte al disagio avvertito,  reattivamente e molto spesso inconsapevolmente,  adottiamo delle Difese di natura psichica, come tentativi di soluzione al disagio o alla sofferenza che viviamo.

Ogni difesa, se è temporanea e bene contestualizzata,  e se scaturisce da un qualche disagio, o da piccole fonti di stress,  è in sé innocua, ed anzi potrà accompagnare e facilitare proprio quel processo di apprendimento del  saper vivere, con una mente  bene attrezzata, pronta e solutiva, anche nei momenti meno facili e nelle difficoltà che potremmo incontrare nelle nostre vite… pronta a risolvere, ed anche a sovrascrivere la nostra realtà.

Diversamente, ogni difesa, se non adeguata e  funzionale, va a strutturarsi rigidamente,  ripetendosi in maniera  inappropriata e sempre uguale nelle tante e pur differenti   situazioni.

Così, le nostre Difese, diversamente declinate,  strutturano  differenti  nostri atteggiamenti e  modalità di reazione, quali   isolamento,  rifiuto,  supponenza,   scontro,  invidia, distacco, controllo… che creano barriere,  interrompono la contemporaneità dello scambio relazionale, interessano  i nostri gesti, pensieri, sogni, parole, le nostre emozioni e la nostra più sana maturità affettiva ed espressiva.

La difesa, a quel punto,  “scatta” come un automatismo di cui non ci rendiamo conto, rispetto al quale non vediamo soluzioni alternative.

Infatti,  quella difesa tenderà inconsciamente a  fissarsi, grazie anche all’ansia che sopraggiunge di fronte ai ripetuti ed inefficaci   tentativi di soluzione del disagio, e così anche, via via,  a  cristallizzare, fino a cronicizzarsi.

Diventerà, nel tempo, essa stessa un sintomo di interesse clinico.

 

LA MALATTIA  PSICHICA

Il percorso clinico attraversa precisi punti di intersezione e di “passaggio”, in una multidimensionalità di direzioni possibili, mentre si organizza,  in relazione agli spazi personali, relazionali e di contesto che trova, nelle differenti configurazioni  psicopatologiche, avanzando progressivamente verso una sempre maggiore gravità.

Infatti, sebbene ogni configurazione psicopatologica appaia, al suo interno,  come un sistema dove ogni elemento che lo compone è connesso agli altri, e tutti insieme si potenziano reciprocamente, attivando una complessa struttura ricorsiva che alimenta e mantiene quella particolare organizzazione di patologia che si è formata… non di meno  i sistemi psicopatologici sono sempre sistemi aperti, suscettibili di formare configurazioni altre,  attraverso forme di patologia contigue oppure,  procedendo per balzi, avanzare lungo un percorso psicopatologico che va dal disagio avvertito,  fin verso  patologie più  lontane sull’asse  riferito al sempre più grande interesse clinico.

E intanto, quella Diifesa che abbiamo adottato come abituale maniera di rispondere allo stress e ai disagi,  via via ci farà accostare alla realtà attraverso  la costruzione di una  visione  che inizia a divenire  deformante e che, tuttavia,   sempre più sollecita in noi il riprodursi della stessa  Difesa  come tentativo di soluzione al problema.

Ciascuno  “sceglie” per sé la modalità difensiva che più frequentemente avrà utilizzata  e, intanto,  mentre irrigidisce quella difesa rendendola disfunzionale,  piano piano costruisce  barriere spesse  che allentano e/o rendono difficili  i contatti  con le persone care, con i nostri progetti, con noi stessi…

L’ansia  aderisce  sempre alla  Difesa  adottata: essa stessa si sarà  specializzata per selezionare, filtrandola,  la forma specifica di reazione  difensiva  “scelta” e la fa cristallizzare, attirando a sé grappoli di Difese altre, secondarie…

Si crea alla fine di questo percorso clinico, una particolare configurazione  psicopatologica dove la malattia ha trovato la sua strada fino  a strutturarsi e cronicizzare.

Si sarà strutturata una patologia che risponde ad un disturbo acuto, depressivo, fobico, cronico, compulsivo… o così come diversamente, e senza una tempestiva ed efficace psicoterapia, andrà via via a comporsi nel tempo.

Difatti, la spirale della patologia differenzia percorsi e picchi e, a partire dai fattori di insorgenza e dalle diverse concause  che ha trovato al suo esordio,  si muove entro gli spazi personali, relazionali  e di contesto che via via  trova: così spinge verso più direzioni, mentre va sviluppando differenti configurazioni della sofferenza psichica.

Nei casi più gravi, purtroppo,  una psicosi renderà la persona  del tutto scollata dal suo mondo, estraniata dai suoi contesti di vita e di affetti.

 

 

                 LE PATOLOGIE VISTE DAL LORO INTERNO:

SIGNIFICATI, STRUTTURE E CIRCUITI CHE  ALIMENTANO E SOSTENGONO  ALCUNE PATOLOGIE DI CUI MI PRENDO CURA

     

             DISTURBI D’ ANSIA “GENERALIZZATA”

Quando l’ansia che avvertiamo subentrare in concomitanza di alcuni  episodi per noi frustranti, si ripete in maniera costante, accompagnando sempre   il disagio che si rinnova e che ripetutamente innesca,  quale tentativo  di soluzione,   modalità di reazioni difensive  inefficaci, quell’ansia si “fisserà” come abituale sfondo destabilizzante ogni nostro quotidiano pensiero, comportamento, relazione.

In assenza di una comprensione profonda e di un intervento della persona che risulti  davvero risolutivo rispetto al disagio vissuto, l’ansia si rinnoverà infatti ogni volta come un filtro da cui  selezioniamo,   in maniera inconsapevole e incongrua,  i momenti di disagio già vissuti  e, al pari, rievochiamo ripetutamente  in maniera inconsapevole,  quegli stessi stati mentali ed emotivi sperimentati nelle situazioni  del nostro passato, provocando in noi una preoccupazione sempre crescente: un’ansia crescente che  avviluppa la persona, ne minaccia l’equilibrio psichico, crea  iper -sensibilità alle frustrazioni, emozioni relazionali non adeguate, impoverisce e rende incoerenti le nostre capacità espressive, minaccia gli affetti più cari…

 

 IL CIRCUITO PATOLOGICO  SI STRUTTURA

Si crea alla fine un circuito che si ripete sempre senza soluzione di continuità, se non in direzione di un sempre maggiore disagio psicologico, comportamentale e di relazione, ove alcuni sintomi clinici cominciano a costellare la vita della persona… ansia da controllo,  ripetute ricerche  di soluzioni da evitamento, insonnia, irritabilità, inappetenza o, al contrario, sensazione di  fame smodata…

La persona, già sensibilizzata al disagio e all’ansia come sua risposta emotiva e relazionale, impara ad anticipare nelle sua aspettative, l’esito negativo di ogni sua nuova esperienza, raggiugendo un livello di ansia tale che, come abituale stato di agitazione, pervade la persona in maniera generalizzata e costante.

SCHEMA DI STRUTTURA

 

 

                                             

 

 

                                                   ATTACCO DI PANICO

A volte, il processo psicopatologico spinge  quest’ansia fino a farle raggiungere picchi di eccitabilità tali da compromettere l’autonomia comportamentale e la lucidità del pensiero della persona afflitta da stati ansiosi continui e, adesso, anche acuti…

L’attacco di panico, “esplode” improvviso e, quasi sempre, senza apparenti elementi di contesto scatenanti, ma con retroscene di   vissuti psicologici   caratterizzati da  ansie di controllo e/o  di presenza,  conflitti irrisolti intorno all’area indipendenza/autonomia, sfide continue sostenute  in assenza  di criteri legittimanti, disistima e, allo stesso tempo, imposizione forzata di standard di efficienza personali molto elevati, l’avere contratto l’abitudine a dirsi bugie sul proprio stato emotivo e fisico, sugli stati di disagio avverti, covare  paure, diffidenze, timori di deludere e/o di vedersi scoperti nelle proprie défaillances…

L’improvviso  esplodere dell’attacco di panico appare così come un fulmine a ciel sereno… la persona  che ne è vittima avverte una forte tensione fisica ed emotiva e  tuttavia rimane immobilizzata,  non potendo individuare alcun  pericolo concretamente reale da cui difendersi,  seppure essa è pervasa dal terrore di un qualcosa di grave e imminente che, intanto, si è scagliato sulla propria persona.

Rimane  terrorizzata  ed impotente nell’ intervenire verso una qualche direzione per trovare sollievo dalla pressione che grava su di sé: l’attacco di panico si configura come un improvviso stato di allerta che prepara l’organismo a scattare reattivamente per mettersi in salvo, mentre in realtà, la persona rimane immobilizzata e terrorizzata come schiacciata da una catastrofe sconosciuta… il suo sistema nervoso neurovegetativo è andato totalmente in tilt.

L’attacco dura al massimo 10 minuti, un tempo che la persona vive come interminabile, divenuta bersaglio di sintomi multeplici e simultanei, a livello emotivo, cognitivo e fisico: idea di morte imminente, di solitudine e abbandono, paura di impazzire, della fine, sensazioni di palpitazioni, tachicardia, sudorazione, tremori, sensazione di soffocamento, derealizzazione, depersonalizzazione…

 IL CIRCUITO PATOLOGICO  SI STRUTTURA

Ciò che fisiologicamente e normalmente accade quando avvertiamo una minaccia è l’emozione di paura che prepara l’organismo a reagire a quella minaccia.

Nel caso dell’attacco di panico, tuttavia, la minaccia viene proprio dal corpo: un segnale di allerta che proviene, perciò, non dal di fuori, ma come un pericolo che dentro  sé si è scatenato;

La persona, che contemporaneamente allo stato di  allerta avrà  attivato il Sistema neurofisiologico di Difesa, a questo punto, dovrà difendersi proprio da se stessa;

Questo fa  intensificare la paura, che diventa  panico: stato di allerta, tensione e immobilismo; e, a cascata, tutti i sintomi fisici e i pensieri drammatici che si sono scatenati.

Poiché la persona non sa perché è arrivato l’attacco, nè se e quando tornerà, nè come difendersi da se stessa, succede spesso che, lo stato di grande ansia e di preoccupazione si mantiene come ansia anticipatoria che può facilitare, essa stessa, il preludere di altri attacchi…

E spesso, a rafforzare lo stato di insicurezza e di instabilità di chi  ha fatto esperienza di attacco di panico, accade che la persona, preventivamente e progressivamente, cercherà di evitare di uscire da casa, di frequentare amici, di assumere impegni… restringerà su di sè tutta la sua attenzione evitante e la sua ansia di controllo,  dentro un cerchio di attento automonitoraggio continuo… avrà assorbito ed omologato, generalizzando e/o semplificando ogni altra esperienza a quella sua particolare, privandosi della possibilità di relazionarsi entro contesti più ampi e complessi e meglio rispondenti  alla sua necessità  terapeutica di non isolamento.

SCHEMA DI STRUTTURA

 

                                                 

                                                     

 

                                                        EVITAMENTO FOBICO

Le cause principali  delle fobie, nelle condizioni  di aspecificità, sono  le sue soluzioni previste: forme difensive di evitamento associate all’ansia da evitamento che le “fissa”.

ESORDIO: SIGNIFICATI E PRIMI TENTATIVI DI SOLUZIONE

All’inizio avremo vissuto delle  situazioni per noi difficili, o relazioni  che ci hanno dato disagio, o sofferenza…  senza rendercene conto non abbiamo tentato intorno a quell’aria delle soluzioni, delle spiegazioni, non abbiamo cercato/trovato spazi di confronto… e così quella fetta di realtà, insieme ai vissuti emotivi di fantasie e paure associate a sentimnenti di solitudine e di diversità dagli altri entra in una sorta di oblio… una zona “dimentica” dove la persona la ripone e dove,  inconsciamente però,  essa  mantiene  nella  sua  memoria l’impatto fortemente emotivo e negativo, associato a quel momento che ha vissuto.

Quella persona, in quella maniera, aveva tentato una soluzione, chiudendo e  concludendo rispetto alla possibilità di maggiore comprensione, cui sarebbe potuta accedere attraverso una analisi di realtà, la  ricerca di condivisione e di soluzioni meglio adeguate allo specifico contesto.

LO STRUTTURARSI DEL CIRCUITO PATOLOGICO

Nel tempo, potrà succedere che, inconsciamente per noi, vivendo situazioni  anche diverse da quelle di partenza, ed anche abbastanza “neutre”,  la nostra percezione crei uno “spostamento” che ci farà vivere quel presente  come riedizione di  scenari simili a quelli di origine, con lo stesso impatto emotivo dell’esordio…  una paura che ci spinge, irrazionalmente,  a sentire quei momenti  del nostro presente come dei pericoli,  veri e propri “rischi”, spesso anche per l’incolumità fisica e non soltanto psichica della propria persona…

Entriamo allora nel tunnel degli evitamenti… evitiamo tutto ciò che, in noi produce paura, percezione di rischi, minacce di pericoli…

Evitando, sprechiamo tanta energia, come ansia da evitamento, mentre vogliamo controllare, selezionare persone e situazioni, verificare… mettere tutto al vaglio della nostra attenzione evitante e controllante.

 

ALLA FINE LA PATOLOGIA CONCLAMATA  AVRA’ CREATO UN CIRCUITO RICORSIVO…

Proprio per questo,  aumenteremo così le paure e le fantasie intorno all’area del rischi, che ci faranno sentire  sempre più soli, diversi dagli altri  e sempre più impotenti e minacciati.

Avvertiamo il rischio  che ci minaccia come imminente e con grande dose di pericolosità.

Il nostro cervello, a quel punto, ha creato uno start, che  interrompe  la fluidità del flusso del pensiero.

La tensione avvertita, nel punto in cui il pensiero si è bloccato, fa aumentare la paura poiché viene avvertita, essa stessa, come un pericolo imminente.

La percezione alterata  utilizza una visione distorta della realtà: fa diventare minacciosa qualcosa di innocuo, sebbene di per sé abbia una valenza “neutra” rispetto  al significato di pericolo che avvertiamo,  come ad esempio un oggetto qualsiasi, un animale, una relazione o una situazione che, di per sé, non sarebbero fonte di rischio alcuno.

La persona reagisce  evitando, sente di doversi mettere al riparo dal rischio, conclude senza tentare un contatto con quella realtà che fa paura, per poter comprendere, per risolvere…

La sua chiusura difensiva lo fa sentire ancora più solo e impotente a fronteggiare ciò che crede lo stia minacciando… la chiusura e l’evitamento dal rischio  percepito diventano anche chiusura dalle relazioni: egli avrà  così evitato ogni confronto con gli altri e con il mondo.

Il che fa aumentare ancora di più le paure e le fantasie sul sentirsi soli, impotenti e frustrati … e il circuito così si ripete…

 

 SCHEMA DI STRUTTURA

 

 

 

 

 

 

                                    DISTURBI DELL’UMORE:

 

DEPRESSIONE E DISTURBO MANIACO-DEPRESSIVO ( BIPOLARE)

 Ansia, paura, chiusura evitante, alterata percezione della realtà, assieme ad altri importanti fattori, quali quelli relazionali, situazioni e disagi specificatamente  contestuali, nonché altri fattori biochimici, genetici, sensibilità ereditaria, possono favorire l’insorgere della patologia Bipolare,  altrimenti  classificata come “Disturbo Maniaco-Depressivo”.

E’ un disturbo grave e subdolo, spesso sottovalutato e non riconosciuto inizialmente né dalla persona che ne è affetta, né da parenti e familiari, in quanto al suo esordio le manifestazioni riguardano l’espressione di diversi sentimenti ed emozioni,  modi di fare e di reagire che, seppure non proprio abituali per la persona, vengono per lo più catalogati come normali e occasionali momenti di stress: dal versante maniacale si evidenziano litigiosità, distrazione, irritabilità, il  mettere continuamente a rischio di rottura le relazioni fin lì più importanti, fare spese eccessive, inconsueta disinibizione sociale e sessuale… e. dall’altro versante, quello depressivo, predomina una persistente e profonda  tristezza di fondo che appiattisce e livella tutto, disinteresse generalizzato con improvvisa perdita di interesse per tutto ciò che costituiva una fonte importante di interesse e di piacere, disturbi del sonno e dell’appetito, rallentamento motorio, difficoltà di concentrazione e disturbi della memoria, ideazione rallentata e impoverita, con pensieri di colpa, rovina, malattia, spesso di morte… e purtroppo, la fase depressiva in un soggetto ammalato di disturbo bipolare può raggiungere una tale gravità da portare la persona al suicidio. 

 

LO STRUTTURARSI DEL CIRCUITO PATOLOGICO

L’aspetto che qualifica l’essenza della patologia nel Disturbo Maniaco-Depressivo è proprio la perdita della normale stabilità dell’equilibrio umorale e affettivo di fondo che, invece, così come avviene nel normale e sano funzionamento, anche quando attraversiamo momenti e stati d’animo diversi, sempre ci consente, comunque,   di mantenere la  percezione della nostra  stabilità, attraverso un più unitario, per quanto dinamico,  “colore” affettivo di fondo, che possiamo sempre e comunque riconoscere come appartenente a noi, e che ci restituisce sicurezza e buon  equilibrio, fisico, psichico e di relazione.

Qui invece, la persona, altalenando tra depressione e stati di eccitazione più o meno maniacali, attraverso ribaltamenti compensatori tra l’una e gli altri, cerca ogni volta di ricomporre la stabilità di un equilibrio impossibile da raggiungere e da mantenere.

Registra invece continui passaggi bruschi del suo tono di fondo, che accentuano sempre più una  profonda instabilità del pensiero e del comportamento, e provocano sentimenti di depersonalizzazione, percezioni alterate di sé e della realtà: la persona che si è ammalata, infatti, senza una necessaria, adeguata terapia, farmacologica e psicologica, nulla sa di sé… nella inconsapevolezza di uno stato di malattia, sempre più si estranea da sé, dal mondo… avvicinandosi pericolosamente alle condizioni di più grave patologica psicotica, e a concreti rischi per la sua salute, che contemplano, in alcuni casi più disperati, anche la commissione di suicidio.

La Terapia, nel caso del Disturbo Maniaco Depressivo risulta particolarmente lunga e complessa: essa deve comprendere, necessariamente, un intervento farmacologico per gli aspetti neuronali afferenti alla funzionalità dei neurotrasmettitori cerebrali; inoltre è necessaria una terapia che “educhi” la consapevolezza di sé del paziente, per riconoscersi e comprendere il funzionamento dei suoi sintomi, per acquisire capacità di gestione e modalità di reazione diverse, rispetto alle  dinamiche relazionali e situazionali  che ha imparato ad assumere e che risultano facilitanti l’insorgenza patologica: un automonitoraggio che gli restituisca  il potere di gestione dei sintomi senza lasciarsene travolgere e senza perdere il senso di sé e della realtà in cui egli vive… anche per comprendere quando occorre che egli chieda aiuto nei momenti depressivi o maniacali più profondi e a rischio di comportamenti non sani.

Risulta inoltre opportuno affiancare la terapia individuale a terapia di coppia e/o familiare, per attenzionare particolari  dinamiche interne, affettive o di comunicazione  che possano risultare disfunzionali, per integrare positivamente la persona nei suoi contesti e consentirle di riconoscere e di attingere alle risorse umane disponibili,  permettendo anche ai familiari di avere una buona comprensione di quanto accade al suo caro, specie nei momenti in cui le alterazioni dell’umore debbono in loro far innalzare i livelli di guardia e di vigilanza.

 SCHEMA DI STRUTTURA

 

 

                                 

 

                         DISTURBO COMPULSIVO, FOBICO OSSESSIVO

DA FOBIA ASPECIFICA A DIFESA CRISTALLIZZATA, SEMPRE ASSOCIATA ALL’ANSIA, CHE SI VA CRONICIZZANDO COME COAZIONE  A RIPETERE: UNO DEI POSSIBILI ESITI E’ IL DISTURBO FOBICO-OSSESSIVO, COATTIVO.

La Difesa dell’Evitamento fobico, a lungo ripetuta, e sempre risultante inefficace, nei percorsi ove avanza crea la malattia:  fa cristallizzare intorno a sé grappoli di difese altre, diverse e secondarie, che veicolando emozioni relazionali e comportamenti disturbati, omologano e appiattiscono aspetti e sfumature della personalità, e creano un “picco” clinicamente  problematico  intorno all’area della crisi, che qualifica la persona all’interno della specifica configurazione psicopatologica    “FOBICO- OSSESSIVA”. 

IL CIRCUITO PATOLOGICO  SI STRUTTURA

La tensione psichica va fissandosi su elementi specifici e particolari, cui la persona attribuisce significati negativi precisi ed irrazionali.

Il pensiero, bloccato sul punto in cui torna sempre a battere, richiama a sé una ansia che lega strettamente a sé l’emozione negativa di rimando: sarà, di volta in volta,  ansia da controllo, ansia di presenza, della fine, di abbandono, di colpa o di offesa .

Il pensiero non scorre più fluido e si inceppa fino a   ripiegarsi su se stesso, chiudendosi in una attività ruminativa, clinicamente OSSESSIVA.

Infatti, il disturbo ossessivo non evita più, come nelle fobie, situazioni, relazioni ed oggetti di realtà concretamente presenti nella  vita della persona che ne è affetta: il pensiero ossessivo soffre adesso al suo stesso  interno dell’avere procurato a sé la minaccia di ansia e di pericolo, come  di un incubo da cui la persona non riesce più a liberarsi.

La persona affetta da ossessione, pertanto, nonostante i sempre ripetuti tentativi, non riesce ad evitare di tornare sul quel pensiero su cui ha fissato  emozioni e significati  negativi ed irrazionali che ha costruito.

La coazione dirige forzatamente tutta quanta la persona: compulsivamente essa ritorna su quel pensiero, cercando di ritrovare una via di uscita che però, dentro l’esiguo spazio ideativo che ha predisposto, non può trovare: là dentro c’è spazio solo per quell’ unico pensiero… su quel pensiero rimbalza sempre, non riuscendo ad accettare di cedere  al suo sorpasso e di riconoscersi uguale agli altri.

La persona, infatti, mentre avverte su di sé la propria costrizione, ingaggia una sfida impossibile poiché, mentre soffre dall’essere  assorbita totalmente e involontariamente dall’ansia provocata dal rimbombo di quel pensiero sempre presente a capofila di altri che seguono,  inconsciamente vorrebbe averla vinta: mentre continua a perdere, a stare male e a rimbalzare su se stessa, ossessivamente non riesce a cedere… e risolvere!

E il circuito continua…

SCHEMA DI STRUTTURA

 

 

          DISTURBO ALIMENTARE, OSSESSIVO COMPULSIVO                                  SPECIFICO: ANORESSIA/BULIMIA                        

 

Quando il pensiero  ossessivo  trova nella persona  lo spazio ideativo, contestuale e relazionale “adeguato”, accompagnato dall’ansia che sempre  lo sostiene, può investire pensieri e interessi che diventano “specifici” di quell’area, caratterizzando particolari forme di patologia coattiva-ossessiva specifiche, quali  particolari forme di paranoie, deliri di gelosie, gioco compulsivo, assunzione di sostanze… pericolosamente più vicine all’area più propriamente psicotica.

Fra tutte, una forma di patologia ossessiva-coattiva specifica, particolarmente perniciosa,  è l’Anoressia, spesso accompagnata dal suo opposto, la Bulimia: la persona anoressica,  vive dentro i significati  costruiti intorno all’area dell’essere  perfetti, del voler molto spesso  assumere  impegni gravosi  e portarli avanti con rigida  intransigenza e, allo stesso tempo,  rimane afflitta da sentimenti di inadeguatezza e vissuti di rifiuto, come volersi nascondere dagli occhi ”giudicanti” degli altri, mentre brama il voler primeggiare per  bravura e abilità nel continuo confronto competitivo con gli altri cui  essa incessantemente  si sottomette…  la persona impara a vivere dibattendosi  ossessivamente dentro l’ irrisolto e delirante conflitto  tra Autonomia e Dipendenza che, alla fine avrà  stravolto e distorto  la sua percezione di realtà.

Fra i due opposti poli essa ribalta continuamente il proprio posizionamento  nei riguardi di se stessa, degli altri e del mondo… ogni legame è desiderato e negato allo stesso tempo… ogni fatica diventa tanto più  eccitante e gratificante quanto più  essa è difficile e stressante, e quanto più essa assume il significato eroico dell’infliggersi una autopunizione: simbolicamente la sfida si fisserà sull’umiliante e dolorosa  astinenza dal piacere dello sfamarsi (e, per estensione, a tanti altri),  che viene contemporaneamente  vissuta  come traguardo vittorioso di  volontaria capacità  astinente,  di eroica resistenza alla rinuncia…

Il corpo, e il cibo che lo alimenta, diventano oggetti specifici di ansia, di preoccupazioni, terreno di sfida estrema e tragica, di contemporanea vittoria e sconfitta: resistere alla fame incontenibile segna il confine conflittuale  e paradossale tra l’essere  per sé e l’essere per gli altri, tra l’essere e l’apparire, tra il desiderio di amore e la sua negazione.

PERCHE’ PROPRIO  IL CIBO DIVENTA OGGETTO DI ANSIE OSSESSIVE?

il cibo si presta, in siffatte ideazioni e percezioni  alterate della realtà, come veicolo  importante  di tutti questi significati  che la persona su di esso ha proiettato.

Per quanto ascritto nella natura dell’uomo, fin dalla sua venuta al mondo da neonato, la cura, l’accodimento, la conferma di essere voluti bene e riconosciuti dalle persone più care ed indispensabili alla sua stessa vita,  passano attraverso le maniere del loro soddisfare la fame del piccolo:  egli, cedendo la sua tensione dolorosa,  accetta il  benefico del  sollievo, impara a godere della fondamentale esperienza, fisica, emotiva, affettiva del procurato sentimento di sazietà e, con esso,  di amore e di cura.

La felice gestione della alimentazione del bambino piccolo  è infatti sempre accompagnata da attenzioni,  contatti fisici e oculari, carezze, vicinanza affettiva calda e rassicurante… atti “integrati” che il piccolo   imparerà anch’egli a  sviluppare, identificandosi e proiettandoli continuamente sull’asse  sé-gli altri, e via via fondando la sua identità relazionale-affettiva-comportamentale, bene strutturata ed integrata…

STRUTTURARSI DEL CIRCUITO PATOLOGICO ANORESSIA-BULIMIA

Perciò,  nel percorso di crescita del bambino, l’esperienza legata ai momenti dedicati al cibo, rappresenta la maniera in cui, significativamente, egli comincia ad interfacciarsi con il suo mondo.

Purtroppo,  nei disturbi alimentari,  quali bulimia/anoressia, per i significati che egli vi proietterà,   già ai suoi  inizi o anche   via via crescendo,   il cibo potrebbe  anche assumere, simbolicamente, un valore negativo su cui il pensiero della persona coattivamente rimbalza,  fissandovi un’ ansia di tipo ossessivo.

Una impennata  che mortifica quella che altrimenti sarebbe una maniera gratificante  di vivere la contemporanea  fluidità  dello scambio relazionale  tra sé e tutto l’altro  (simbolicamente il cibo, ma anche tanto altro ancora),  lasciando immaturo qualche aspetto della complessiva  integrazione  dell’ identità che va strutturandosi intorno all’area del cibo e a tutte le interazioni, i sentimenti, i modi di reagire, i  pensieri che vi sono correlati e che, trasversalmente,  toccano tutte le aree di sviluppo della persona.

In alcuni casi, il disturbo alimentare si fissa in particolare su uno dei due poli, anoressia o bulimia, con significati simili e contrari  in relazione all’azione violenta e compulsiva del privarsi estenuamente di cibo da un lato o, dall’altro,  di rimpinzarsi  smodatamente, come a riempire di tutto ciò che immediatamente è a portata di mano ( con cibo “spazzatura”) il vuoto incolmabile avvertito dentro di sè.

In altri casi, i più numerosi,  il Disturbo Alimentare oscilla bruscamente e ripetutamente tra Anoressia e Bulimia,  cercando tra le due opposte posizioni  un  impossibile equilibrio… la persona si erge a vittima sacrificale mentre patisce la fame, compiacendosi al contempo, della forza della propria intransigenza, quasi come una ascesi in cui essa si dichiara di non avere bisogno di niente e di nessuno… vince la sua battaglia mentre soffre, perdendo la sua serenità… fino all’irrompere di un raptus  di fame incontenibile che interrompe l’astinenza dal cibo della persona, che famelicamente comincia a fagocitare  di tutto… una compulsione che, se per poco placa la sofferenza della fame patita, viene subito soppiantata dal rimorso di avere “sbagliato”, cedendo alla “debolezza” della soddisfazione di un bisogno che  la persona non vuole  riconoscere per sè… spesso matura il vizio del procurarsi il vomito per cancellare la “colpa”…

La patologia si stabilizza con alterazione della percezione del mondo, di sé e del  corpo che appare grasso, sebbene in realtà sia sempre più emaciato.

La persona anoressica, in ogni caso, non vuole sentirsi uguale a tutti gli altri, non vuol cedere  la sua “singolarità” perché in essa ha imparato a distinguersi, e senza non sa più come rappresentarsi alla sua stessa coscienza… mentre soffre per non poter essere come tutti gli altri.

E il circuito si ripete…

 SCHEMA DI STRUTTURA

 

 

 

 

                                                LA CURA

                           La relazione è il luogo della cura

La psicoterapia, quando voglia indagare  la malattia psichica  e  la sofferenza umana deve  sapersi  concentrare sul mondo interiore  delle persone e sul loro  vissuto, sui loro  affetti e sul loro  mondo emotivo… e, allo stesso tempo,   deve indagare nella  realtà entro cui quelle persone vivono  immerse, ai modi e stili di vita, alle  competenze relazionali, ai contesti e alle  diverse situazioni del loro vivere quotidiano.

E’ là che ci attrezzeremo a padroneggiare  strumenti  di conoscenza e di intervento nuovi e più efficaci, con una mente che abbia saputo  cedere pensieri disadattivi, per pensare in maniera svelta, agile e solutiva… nella realtà di vita delle persone  è altrettanto indispensabile  curare le  relazioni malate,  acquisire la consapevolezza delle ragioni del nostro esserci ammalati e del come vogliamo diversamente investire le nostre migliori qualità in una vita che sia  felice e realizzante… insieme a chi vogliamo bene.

Questo credo sia compito imprescindibile della psicoterapia, e a questo decalogo scrupolosamente mi attengo.

E’ là, nei nostri spazi di vita quotidiana,   che impariamo, pure, ad adottare le nostre Difese psichiche, funzionali e non,  per fronteggiare  i momenti di criticità che, via via, pure incontreremo.

Spesso, le Difese disfunzionali che adottiamo rigidamente nel tempo ci fanno ammalare… ed è compito di chi si propone come soggetto di cura, il  curarle.

                                                     

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