Lo Psicodramma Classico di Jacob Levi Moreno
OLTRE IL DIRE, LA PSICOTERAPIA DEL FARE
Quando la psicoterapia apre la stanza della cura…
Come terapeuta ho sempre voluto che il mio ruolo fosse improntato su una metodologia che che aiutasse a superare nei miei pazienti ogni artificioso intellettualismo ed ogni pericolosa scissione tra gli aspetti intrapsichici e il loro contesto di vita e di relazioni.
Le tante rigidità che acquisiamo e manteniamo nella nostra vita, sono originate spesso da fattori educativi, falsamente moraleggianti, culturali e dalle tante difese patogene, antirelazionali, che abbiamo imparato ad adottare come soluzione della nostra difficoltà di stare bene con gli altri: questa consapevolezza mi ha sempre proiettata verso una idea di terapia che fosse anche, in qualche misura, un’arte: per liberare nei miei pazienti processi di spontaneità che, grazie alla loro forza propulsiva, fossero in grado di far risaltare e veicolare tanta più ricchezza creativa necessaria per accogliere, sostenere ed alimentare i diversi processi di cambiamento, che la psicoterapia promuove.
E’ perciò che, quando ebbi occasione di incontrare lo Psicodramma Classico, ideato nella Vienna degli anni ’20 da Jacob Levi Moreno, ne rimasi ammirata e affascinata e ne volli approfondire la conoscenza, dedicandomi ad una ulteriore formazione professionale in conduzione di psicodramma classico moreniano: in esso avevo ravvisato una felice corrispondenza con molti criteri e idee che mettevo già a fondamento della mia prassi terapeutica.
… ed entra sul palcoscenico dello psicodramma
Nello psicodramma la “regia” terapeutica si svolge in un contesto di gruppo, ed è basata sul fare, oltre che sul dire.
Lo psicodramma costituisce infatti una diversa maniera di fare psicoterapia, che prevede che essa possa svolgersi dentro un setting interpersonale che comprenda non più esclusivamente la relazione “a due”, terapeuta-paziente, ma un diverso contesto multidimensionale e di gruppo.
Lo psicodramma: i suoi elementi
Analizzando gli elementi base su cui poggia lo psicodramma, ci si può meglio accostare non solo alla struttura che rende operative e organizzate le attività che in esso si svolgono, ma soprattutto al pensiero che le accompagna, cioè all’idea di psicoterapia che sostiene il tutto.
La parola “dramma”, deriva dal greco “drama”, che significa azione:
-gioco e azione: sono proprio gli elementi base dello psicodramma: il livello verbale viene superato e immesso nell’azione, incluso nel livello della messa in scena, perchè sia data la possibilità di cogliere dimensioni psichiche che sarebbero irraggiungibili solo con le parole, spesso inconsapevoli al paziente stesso.
Nel “gioco psicodrammatico”, tutto è vivo e vero, continuamente messo al vaglio dell’esame di realtà del “qui ed ora” effettivamente realizzato sul palcoscenico: tutto è contemporaneità di pensiero, emozione, corpo; la sua realtà è autentica così come ogni emozione che il paziente/protagonista vive…
La Spontaneità: con la sua forza propulsiva la spontaneità agisce nel mobilitare le proprie energie intellettuali, affettive, fisiche ed è il prerequisito di ogni esperienza creativa. Ha la funzione di catalizzatore che sviluppa la creatività potenziale dell’individuo, rendendola operativa-
Nell’atto concreto la spontaneità e la creatività sono intimamente fuse: se manca lo stato di spontaneità, la creatività rimane inerte: l’atto privo di spontaneità è un atto meccanico, ripetitivo, riflesso, stereotipato; la spontaneità stimola a trasformare la realtà, a rompere gli schemi, ad evitare le cristallizzazioni; essa consente di affrontare i rischi del cambiamento promossi dal processo di psicoterapia.
La Creatività: la funzione di catalizzatore nello sviluppare la creatività potenziale dell’individuo è data dalla spontaneità: è questa che la rende operativa.
La creatività è un quid non definito allo stato potenziale, ma che si definisce nell’atto concreto: in ogni atto creativo la creatività è ritrovabile come un atto vitale, originale, nuovo.
Il palcoscenico: il setting predisposto è un campo espressivo immediato, suscettibile di adattamenti e di trasformazioni dei più svariati: coreografici, luminosi, di contatto, del suono, dello spazio vissuto e attraversato, sempre nella multidimensionalità fisica, mentale, temporale, emotiva del passato, del presente o del futuro…
Su quel palcoscenico ogni cosa, oggetto, strumento, palle, cappelli, elementi simbolici, suoni o colori… a seconda delle scelte del paziente/protagonista, e delle valutazioni terapeutiche dello psicodrammatista-terapeuta, tutto può essere animato, incarnato, e costituire sempre l’altro relazionale con cui il protagonista può incontrarsi, dialogare e insieme agire cambiamenti scenici e svolte creative nella propria storia fin lì costruita e rappresentata…
Il gruppo: gli aspetti intrapsichici si rendono comunicabili attraverso le interazioni che si sviluppano nel setting psicodrammatico, tra il paziente/protagonista e il gruppo, in condizioni di realtà o di semi-realtà, consentendo la trasformazione anche degli aspetti inconsci e arcaici della comunicazione in esperienze socialmente condivise.
Il gruppo e il soggetto sono sempre interrelati: i suoi membri vengono coinvolti sia come alter-ego (in sostituzione del protagonista mentre egli è impegnato nelle inversioni di ruolo), che come io-ausiliario (estensioni del paziente che ritraggono le persone reali o immaginate nel suo dramma esistenziale), sia come semplici osservatori che, al termine della sessione, condividono con gli altri i propri vissuti attivati dalla loro partecipazione allo psicodramma messo in scena dal protagonista,senza però interferire, con giudizi o commenti, sul lavoro di quello.
La Catarsi: concetto tratto dalla filosofia aristotelica e dalla tragedia greca sta a indicare un processo attraverso il quale il soggetto si libera delle sue tensioni emotive traendone un beneficio, una sorta di purificazione.
Nel teatro spontaneo voluto da Moreno la catarsi è innanzitutto la catarsi dell’attore che esteriorizza se stesso, il proprio dramma e che si libera dai personaggi interiori esibendoli al di fuori.
La catarsi, poi, è anche quella del pubblico, per effetto secondario: vedendo rappresentare sulla scena i propri conflitti, lo spettatore trova sollievo, talvolta una soluzione.
Il Protagonista: Moreno così scrive del protagonista: “… egli deve essere se stesso e non un attore, dato che l’attore è costretto a sacrificare il suo mondo al ruolo impostogli dall’autore dell’opera da rappresentare… egli deve agire liberamente, man mano che i contenuti si affacciano alla sua mente: per questo è indispensabile che egli sia posto in un contesto di libertà d’espressione, di spontaneità”.
Particolare importanza riveste la rappresentazione scenica: questa aiuta il soggetto a superare il livello d’espressione prevalentemente verbale, incorporandolo nel livello d’azione.
Ci sono diverse forme di rappresentazione: l’agire un ruolo soltanto immaginato, il riprodurre una scena passata, il vivere un problema attualmente pressante, l’esprimere aspetti creativi di sè, lo sperimentare se stessi in vista di una situazione futura, e così via.
Psicodramma: le fasi di svolgimento delle sue sessioni
Il riscaldamento: è la fase in cui il paziente/protagonista, condotto dallo psicodrammatista, inizia ad esprimersi liberamente, man mano che le immagini da rappresentare appaiono nella sua mente.
Il riscaldamento avviene dagli eventi più superficiali a quelli più traumatici, ed è essenziale, prima di entrare nella scena del “dramma”, per liberare la spontaneità del paziente/protagonista, e per canalizzare la creatività che egli dovrà in seguito impiegare.
Per questa ragione gran parte del riscaldamento del paziente/protagonista è preceduto dal riscaldamento di tutto il gruppo che, sempre sotto l’attenta guida del terapeuta, avviene sollecitando principalmente elementi corporei e di contatto fisico ed emotivo tra i membri del gruppo che attraversano lo spazio del palcoscenico.
L’azione: è la fase centrale in cui in cui il paziente/protagonista rappresenta i propri conflitti nel “qui ed ora”, a prescindere dal periodo temporale in cui sono stati realmente vissuti o immaginati.
Il protagonista deve agire la sua verità così come egli l’avverte e la percepisce in modo soggettivo; ed è facilitato dallo psicodrammatista a raggiungere la catarsi come purificazione emotiva.
La condivisione: è la fase finale in cui tutti i membri del gruppo, a partire dalle personali esperienze di vita, condividono i vissuti perché il paziente/protagonista non deve essere mai lasciato con l’idea di essere l’unico del gruppo ad aver vissuto una personale problematica.
Tecniche-non-tecniche: il “serio gioco della vita”
Sono convinta che ogni processo di psicoterapia, perchè sia efficace, deve poter curare non solo “il sintomo”, ma anche i modi di vita delle persone, e deve poter restituire loro il senso di un potere personale che renda più efficace ogni loro intervento: per migliorare la qualità stessa della loro vita, per far funzionare le loro relazioni più belle e importanti.
Essi dovranno giungere ad acquisire una rinnovata “forma mentis” che permetta loro di agire con più agilità e prontezza i pensieri che guidano le loro scelte… ed, infine, per saper maturare, con la necessaria consapevolezza, pensieri nuovi e soluzioni inedite, in un tendere verso una migliore crescita personale, che sia per loro sempre più realizzante.
Nello psicodramma si vive in una dimensione di semi-realtà: dimensione in cui concretamente è possibile agire e vivere emozioni vere e profonde, mentre ci si sperimenta nell’incontro con se stessi e con gli altri, e con il nostro essere sempre e contemporaneamente entrambi: un “me-altro da-me”.
Così come, nel rimando al “serio gioco della vita”, la semi-realtà sta proprio nella nostra possibilità e capacità di vivere e condividere la matrice sociale a cui tutti apparteniamo e, nel frattempo, nel poter intervenire per sovra-scrivere la nostra realtà, adoperandoci per creare uno spazio migliore di vita, che sia più sano e bello.
Per il paziente/protagonista sarà possibile avere una migliore consapevolezza nel fare, nell’incontrare, nel confrontarsi e nel parlare “con”, invece che “di”, parti di sé inconsce, rivisitare racconti dimentichi della sua vita che lo hanno visto protagonista spesso inconsapevole delle dinamiche e delle modalità di reazione poco utili che egli ha adottato, o dei legami affettivi anche conflittuali con le persone importanti della sua vita, adesso interiorizzate… tutte situazioni alle quali adesso il protagonista può aggiungere un particolare, una riedizione “correttiva”, che sblocchi quella difficoltà e, nella catarsi emotiva, la risolva.
Perciò, le diverse tecniche utilizzate nello psicodramma sono, a buona ragione, molto più che semplici tecniche: sono strumenti dell’idea di psicoterapia che esse attivano; e costruiscono, allo stesso tempo, le idee necessarie perché possa mantenersi vivo e reale, nei vissuti delle persone e nelle relazioni tra di loro, il fluire di tutto ciò che nella scena accade.
Il soliloquio: mentre il protagonista drammatizza una scena della sua vita reale, esprime sottovoce i pensieri e i sentimenti che in segreto egli prova nei confronti del suo interlocutore, rendendoli presenti a se stesso: una presa di coscienza che verrà quindi agita secondo le regole del setting psicodrammatico….
Inversione di ruolo: il soggetto recita un’altra volta la scena che ha appena improvvisato, ma scambiando i ruoli con il suo io-ausiliario. E’ egli stesso che recita entrambe le parti: attraverso un decentrarsi da sé, egli si mette nei panni degli altri ed interpreta le loro reazioni nei propri confronti; ha così modo di comprendere meglio le reazioni nei suoi confronti della gente che lo circonda.
Uscendo da se stesso, diventa pertanto capace di percepire “oggettivamente” il proprio atteggiamento verso gli altri e avrà la possibilità di migliorare le sue relazioni interpersonali e di renderle più sane esplicitando e risolvendo conflitti, tensioni, equivoci…
Doppio: la relazione che esprime una funzione di doppio è quella della madre che, nella storia evolutiva individuale di ciascuno, “doppia” il proprio bimbo, e lo fa “leggendo” i bisogni del figlio, mentre dà adeguata risposta ad essi.
Nello psicodramma, la funzione di doppio si sviluppa in situazioni cariche di atmosfera empatica, che favorisce la disponibilità all’apertura interpersonale ed alla reciprocità nella comunicazione: una persona riesce ad essere doppio per un’altra grazie alla sua capacità di identificazione, mentre ciascuno può essere doppio di se stesso nella misura in cui è capace d’introspezione.
Specchio: parliamo di specchio quando abbiamo un’interazione capace di produrre una dinamica mentale grazie alla quale un individuo coglie aspetti di se stesso nelle immagini relative alla sua persona costruite dagli altri ed a lui rimandate.
Mentre nel caso del doppio l’individuo arricchisce la rappresentazione di se stesso orientando l’attenzione verso il suo interno, nel caso dello specchio l’individuo guarda fuori di sé, alla scena da lui poco prima costruita, e nel rivederla, recitata dagli io-ausiliari e dall’alter-ego che adesso prende il suo posto, egli può constatare se stesso dentro la sua storia, con le implicazioni relazionali su come egli sia (sia stato, o sarà) percepito dagli altri.
Queste due sorgenti di conoscenza concorrono entrambe in modo determinante alla costruzione dell’immagine di sè.
L’azione del terapeuta/direttore dello psicodramma
Il terapeuta/psicodrammatista (o direttore di psicodramma) è il promotore dell’azione, il regista della rappresentazione, l’analista del materiale emotivo via via emergente.
Egli è, soprattutto, colui che segue e promuovere il processo terapuetico del paziente/protagonista che recita se stesso nella scena.
Il termine direttore esprime il ruolo attivo e propositivo che caratterizza la sua presenza all’interno del lavoro di una sessione.
Questa figura favorisce un’esperienza di rapporto umano diretto, permeato di emozioni con tutti i membri del gruppo: che possa cioè configurarsi come modalità positiva di relazione interpersonale.
Egli, per risultare efficace, deve liberare, per primo, la sua stessa spontaneità e sentire un sincero interesse umano e professionale verso il protagonista ed i membri del gruppo.
In sintesi: quale strumento terapeutico?
Scopro, nella maniera dello psicodramma, una psicoterapia che sa avvalersi delle molteplici dimensioni di realtà: intuitiva, estetica, fantasmatica, emotiva, relazionale… e non più soltanto dei costrutti che si accostano alla prassi interpretativa secondo i moduli monodirezionati dalla logica.
Lo psicodramma è dunque un metodo di sviluppo personale basato essenzialmente sulla ‘messa in azione’ dei contenuti del mondo interno del protagonista, che incontra se stesso e/o la sua realtà interpersonale interiorizzata, cioè il suo essere sempre sé-con-gli-altri… nello psicodramma la persona “gioca”, concretizzando sulla scena le sue rappresentazioni mentali, e così prendendone coscienza, e potendole anche modificare.
Sul palcoscenico il protagonista è infatti attivamente impegnato a conoscersi e a sviluppare le sue risorse: così facendo egli avvia un dialogo interno che lo conduce a cogliere possibili soluzioni ai suoi conflitti intrapsichici e/o di relazione col mondo esterno.
Questo approccio, teso a migliorare le relazioni interpersonali, consente lo sblocco di situazioni interiori cristallizzate e ripetitive, la soluzione di problemi e di situazioni di crisi, la ricerca e la scoperta di opzioni alternative rispettose di sé e dell’altro…
All’interno del gruppo vige il valore del rispetto assoluto del mondo interiore di ogni individuo, in conseguenza del quale ogni contenuto mentale va riconosciuto ed accettato per quello che è, senza contrapposizioni, senza moralismi castranti e giudizi falsificanti e inibenti.
Ogni sessione psicodrammatica si svolge entro un setting che realizza, nel qui ed ora, la contemporaneità di pensiero ed azione, e in una semi-realtà improntata da spontaneità e creatività.
Lo psicodramma, dove?
Moreno ripeteva sempre, che lo psicodramma deve sorgere sul luogo stesso dei conflitti, nella famiglia, a scuola, in fabbrica.
Infatti, le sessioni di psicodramma non sono finalizzate soltanto alla crescita personale e ai percorsi di terapia psicologica, poiché esse sono spesso utilizzate, anche con diverse finalità di formazione professionale, in ambito lavorativo e organizzativo, sia aziendale che manageriale… in tutti questi casi, lo psicodramma risulta puntualmente uno strumento valido e appropriato.
Come tale, personalmente, lo adotto perciò in tutti quei contesti dove, sono convinta, con maggiore difficoltà e con esiti più incerti, sarei in grado di intervenire utilizzando modalità strutturate secondo schemi terapeutici tradizionali, rigidamente dia-logici e asettici.
In particolare, lo psicodramma si presta al lavoro di analisi e di ridefinizione del ruolo professionale: “ il ruolo è il modo d’essere e di agire che l’individuo assume nel momento in cui reagisce ad una situazione data, nella quale sono impegnate altre persone” J.L.Moreno, 1965.
La teoria moreniana, calata nella formazione manageriale per lo sviluppo del potenziale umano, promuove la valorizzazione di ciò che è vitale per l’individuo, e nel gruppo di lavoro.
Ultima particolarità che mi piace evidenziare: d’accordo con Moreno (vedi sopra), lo psicodramma è un approccio di indagine, sostegno e cura che si rivela utilissimo con gli attori professionisti.
Infatti, laddove nel teatro di psicodramma il protagonista recita se stesso, l’attore “per mestiere” recita invece interpretando un personaggio diverso da sé; pertanto, senza un adeguato addestramento alla gestione dei suoi sentimenti, senza uno spazio personale di elaborazione delle sue emozioni e dei conflitti che egli vive entro il proprio spazio di vita personale, senza consapevolezza di sé e della natura delle sue relazioni con le persone a cui egli vuole bene… l’attore fa più fatica a decentrarsi per entrare nel personaggio da interpretare: lo fa con sforzo, inibendo delle parti di sé, con la tensione del continuo controllo che egli opera su di sé, che non lo fa essere neppure spontaneo, nella sua recita, quanto dovrebbe.
Più che di controllo, ritengo pertanto che l’attore di professione necessiterebbe della possibilità di elaborare i propri vissuti; così come ciascuno, terapeuta compreso: adattando spazi e condizioni meglio dedicati allo scopo più aderente alle necessità di ciascuno..
Conclusioni: la mia psicoterapia
Personalmente considero lo psicodramma uno strumento utilissimo in molti contesti, come sopra detto, anche diversi tra loro.
Tra di essi, trovo che nell’ ambito della psicoterapia esso sia un validissimo approccio, che sa convincermi ed affascinare: lo psicodramma libera infatti possibilità non previste dai metodi più tradizionali, tanto che può accadere che il suo impiego, avendolo di volta in volta valutato, possa essere da me scelto proprio in alternativa ad essi, ad esempio con i bambini e gli adolescenti, che meglio si trovano a loro agio nel parlare attraverso modalità più “ creative” e utilizzando più il corpo che le parole…
Ritengo inoltre che l’impianto del setting terapeutico psicodrammatico sia valido soprattutto per i pazienti che, avendo strutturato molta rigidità, ripetitività, fissità nei loro modi di pensare e di agire, è probabile che si siano ritrovati, ad un certo punto della vita, dentro una difficoltà, una sofferenza o una crisi, con un repertorio scarno di reazioni alternative, di flessibilità all’interno del ruolo sociale che hanno assunto, accorti di fantasie, simbolismi, metafore…
Essi affrontano perciò le loro difficoltà privati di tutto un mondo fantasmatico che meglio sarebbe in grado di liberare il loro pensiero dal “necessarismo“ originato dall’idea di una realtà sempre già data, sempre fatta da altri, e che non sia mai possibile fare evolvere, trasfigurare, sovra-iscrivere…
Accogliendo in pieno il pensiero profondo, intuitivo, rigoroso di Moreno, desidero che sul palcoscenico psicodrammatico si giochi un gioco vero, che ha le sue regole, che ne delimitano il funzionamento e che, pure, lo differenziano dalla vita di tutti i giorni: un setting entro cui Moreno stabilisce alcuni principi cardine che sono: la regola del gioco è fingere, ed il passaggio all’atto deve essere proibito.
Tutto viene vissuto nella semi-realtà di un gioco che è come nel “serio gioco della vita”: dove il copione non è dato e l’esito della storia avviene dentro la recita che il protagonista fa di sé stesso, mentre si muove sempre nel “tra” delle cose e delle persone, per incontrare parti di sé, e di sé con gli altri; e con le maschere che egli vorrà di volta in volta incarnare.
Le stesse regole del gioco hanno la funzione di “segna-contesto” tra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori dal palcoscenico; allo stesso tempo, quelle regole sono necessarie perchè la messa in scena si possa davvero poter giocare e vivere… un serio gioco, simile all’altro, al “gioco serio della vita” che conduciamo poi davvero fuori dal teatro psicodrammatico, ma che da quello dobbiamo tuttavia distinguere.
Perché nessuna parodia della vita, neanche in terapia, possa davvero sostituirsi alla vita, e divenire così una sterile, grottesca, parodia della parodia…
Lo psicodramma classico, o “moreniano” e stato introdotto a Milano e nel nord Italia da Giovanni Boria, direttore dell’Istituto di psicodramma di Milano e a Torino dal suo allievo Marco Greco.
Ciao Maria, grazie della maggiore completezza di informazione che hai apportato all’articolo.